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Colori naturali. Alla riscoperta del guado

Il guado, oro blu del Montefeltro, viene oggi nuovamente coltivato e lavorato per ottenere pigmenti naturali per tinture di alto pregio.

Ci rechiamo nelle Marche per scoprire i segreti dei colori naturali legati alle tradizioni che risalgono al Rinascimento e che solo recentemente sono state riattivate dopo le scoperte di Delio Bischi e Don Corrado Leonardi. Una storia che unisce cultura, scienza e avventura, durata qualche decennio dagli anni ’70 al 2000. La fama di Don Leonardi nell’area urbinate è nota per le sue attività umanitarie, ma anche perché, avendo le chiavi delle pievi sparse nel territorio della valle del Metauro, soprattutto quelle abbandonate, aveva scoperto e recuperato diverse tele, tovaglie da altare blu, tutte del ‘400, di fattura marchigiana. Da parte sua, Delio Bischi, veterinario, che percorreva instancabilmente i più sperduti casolari dell’Appennino, basandosi su alcuni toponimi sul monte Nerone e sul rinvenimento di parti di macine, quando non intere ruote in blocchi monolitici di calcare, arenaria o corniola, si chiese cosa macinassero in quel territorio dove non c’erano ulivi né coltivazioni di frumento. Trova anche che le ruote erano caratterizzate da particolari scanalature. Associa le pietre e i toponimi alla macinazione del guado (Isatis tinctoria) la pianta da cui fin dai tempi degli Egizi si estraeva il colore azzurro (cilestre) per tingere fibre e tessuti. Don Leonardi era scettico e indusse Bischi ad approfondire le ricerche, sicché da antichi documenti e, soprattutto da una incisione del Settecento, poté dimostrare – e lo fece a un congresso di specialisti in Germania che ne avallarono l’autenticità – che nella valle del Metauro, da Urbania al passo di Bocca Trabaria, si era coltivato e lavorato per secoli il guado.

Colori naturali. Alla riscoperta del guadoColori naturali. Alla riscoperta del guadoColori naturali. Alla riscoperta del guadoCi racconta questa storia nei particolari Massimo Baldini, che alla fine degli anni ’90 organizza una cooperativa per riattivare la coltivazione di questa pianta così importante, e produrre colori naturali ed ecologici.

Inizialmente lo fa a Lamoli di Borgo Pace nell’alta valle del Metauro, fondando il Museo dei Colori Naturali intitolato a Delio Bischi – per poi trasferire le coltivazioni nell’area di Jesi, per la necessità di terreni irrigui e di acqua di falda per le lavorazioni.

Oggi, la necessità di una produzione che pur restando nell’artigianale, deve rispondere a esigenze di carattere industriale, Baldini con la coop. Oasicolori in partecipazione d’ impresa con la Teknochim srl promuove Natural Color Service, un centro servizi altamente specializzato nella produzione, commercializzazione e sviluppo applicativo dei nuovi coloranti vegetali, particolarmente adatti nei seguenti settori di riferimento: tessile, cuoio e pelletteria, gomme e materiali termoplastici, legno ed interni d’ arredamanto, cosmetica.

Le piante e le erbe tintoriali sono gestite direttamente nella filiera Natural Color Service attraverso: coltivazioni di Guado, Reseda, Robbia..; raccolta dallo spontaneo in ambiente forestale di Scotano, Galle di quercia, Edera, Equiseto..; approvvigionamento da scarti di produzioni agricole di Olivo, Carciofo, Peperone, Melograno, Mallo di Noce e di Mandorla

«Lo scopo principale della nostra attività – ci spiega Massimo Baldiniè quello di salvaguardare la biodiversità e il patrimonio vegetale, ma anche quello di conservare la storia e le nostre tradizioni.»

Nel raccontarci come avveniva – e come avviene – la lavorazione del guado, scopriamo che fu anche usato da Piero della Francesca, il quale apparteneva lui stesso a una ricca famiglia che deteneva l’intera filiera del guado, dalla coltivazione, alla macerazione e produzione della polvere che veniva poi venduta sui principali mercati tessili.

Il Paese di Cuccagna

«Che il guado sia stato utilizzato anche in alcuni affreschi è una scoperta confermata solo di recente» ci dice raccomandando di visitare il famoso affresco dell’Oratorio di San Giovanni a Urbino dove il blu di alcune figure è ottenuto appunto dal guado.

Scopriamo anche l’origine del Paese di Cuccagna in quanto una volta ridotte le foglie in poltiglia, e questa è la ragione delle scanalature sulle macine, si otteneva una pasta che veniva modellata in pani, delle dimensioni di palline da tennis, che si facevano essiccare su appositi graticci. Queste palle erano chiamate ‘coccagne’, e il loro valore era altissimo. La coccagna a sua volta veniva sbriciolata e macerata in una maleodorante miscela di aceto e urina fino alla completa fermentazione e dopo una lavorazione nei tini si estraeva il pigmento. Oggi, si usano come mordenti prodotti più adatti alle esigenze moderne, analogamente all’estrazione dell’indaco.

Colori naturali. Alla riscoperta del guado

La coltivazione del guado ebbe un tracollo, e scomparve, quando dall’India fu introdotto l’indaco (Indigofora tinctoria), prodotto decisamente più economico e di più facile lavorazione.
Ma allora, perché tornare al guado? A parte le considerazioni di ordine storico e affettivo, il blu che se ne ottiene è decisamente più brillante e un capo tinto con guado ha un elevato valore aggiunto. In pratica un prodotto di nicchia che vale la pena di prendere in considerazione.

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